«Peake ha creato una nuova categoria, il Gormenghastly, e già ci meravigliamo di come prima potessimo vivere senza di essa e ci chiediamo come mai nessuno aveva saputo definirla prima di lui».
Invidiabile la sorte del lettore che affronta per la prima volta questo monolito letterario, unico per concezione e architettura. Castello-caverna che la natura ha divorato, o che ha divorato la natura, Gormenghast è in primo luogo un modo di vivere, di essere: è tutto. E dunque esclude per definizione il resto, tanto che chi lo abita non riesce neppure a immaginare una realtà esterna.
Quando, alla fine del secondo pannello della trilogia, il giovane Tito, signore di Gormenghast, trova la forza di strapparsi al suo reame, la cui bellezza si è ormai corrotta in cupa fatiscenza, le parole della madre – «Non esiste un altrove. Tutto conduce a Gormenghast» – sembrano richiudersi sulla sua fuga come una pietra tombale. Scoprirà che un altrove esiste,...