«Tutto era peccato. Dire che reb Meir, il maestro, era un pazzo, era peccato. Acchiappare mosche di sabato era peccato. Correre era peccato, perché non si addiceva a un bravo bambino ebreo, ma a un monellaccio gentile. Dormire senza la kippah, anche nelle calde notti d’estate, era peccato. Stare inginocchiato sulla panca era peccato. Disegnare omini era peccato. Qualsiasi cosa uno facesse era peccato. E ovviamente essere sfaccendati era peccato».