Siamo alla fine del Seicento, secolo avventuroso e abbagliante, nonché intriso di umor nero quella «malinconia» che nutre sia i geni sia i suicidi. Gioseffo, erudito eccentrico, persegue il fantasma di unopera intitolata Lantidoto della malinconia e stila lunghe lettere a un cardinale (immagine di ogni potente) che dovrebbe benevolmente proteggerlo. La sua figlioccia, laristocratica Matilde, si incapriccia di un giovane sgradito alla sua famiglia e precipita nel mal damore. I destini di questi due malinconici sono intrecciati e accomunati dallindifferenza con cui il mondo li guarda, al pari dei potenti che «non vedono e non sentono». Intorno, una realtà fosca, intessuta di presagi. A Carnevale, in un tetro palazzo, ha luogo una compunta e grottesca seduta dellAccademia dei Pennuti. Un mostro bicefalo viene esibito nella bottega di un barbiere. Un immane sciame di farfalle compare sulla facciata della cattedrale, lasciando dietro di sé una pozza di sangue. Con il suo tocco sicuro e preciso, Meldini è riuscito a fare della malinconia sostanza di romanzo. Ed è una specifica malinconia da «fine secolo». Che si tratti del Seicento o del nostro non fa grande differenza.
Da qualunque cosa fuggisse, Andrea Severi, e qualunque cosa fosse andato a cercare in Grecia, adesso che, nellovattato, allarmante silenzio di una clinica svizzera passa le notti a scrivere, tentando con una sorta di accanimento febbrile di ricostruire il racconto del suo viaggio, gli eventi di quelle settimane gli appaiono, a mano a mano che procede nella narrazione, una sequenza di segni sempre...
La beata Isabetta era una fanciulla che «per la soe excessiva bellezza de corpo, de ogni laxivia foe piena, et in ogni vanità involta» (dice un’antica cronaca) prima che la sua vita giungesse a una misteriosa mutazione. Tentò di suicidarsi gettandosi da un campanile, ma venne trattenuta, e così salvata, da un accesso di vertigini. Da allora convertita, condusse vita...