Prima di rivelarsi pienamente come narratore, Joseph Roth lavorò come giornalista, in quegli anni Venti particolarmente adatti alle incursioni nella realtà da parte di un viaggiatore «dappertutto a casa, ma senza casa». E subito fu riconosciuto «prosatore di primordine, un maestro della lingua tedesca» (Hermann Kesten). In Museo delle cere, pubblicato nel 1930, Roth volle raccogliere il meglio di quegli scritti: una trentina di feuilleton apparsi per la maggior parte nella «Frankfurter Zeitung». Il titolo originale, Panoptikum, riprendeva il termine tedesco per «museo delle cere» accenno a un mondo sempre più spettrale, dove i manichini del Musée Grévin potevano apparire come «imitazioni più vere» , e al tempo stesso implicava una visione «panotticale», una veloce panoramica delle esperienze fatte da Roth, uomo e giornalista, a Vienna e in Germania ma anche su e giù per lEuropa, in Francia come in Albania: «figure e sfondi», come dice il sottotitolo. Tra le «figure» sfilano i piccoli personaggi della vita dalbergo che sarebbe diventata la vita stessa di Roth, gli oscuri colleghi in giornalismo, le ombre indaffarate che partecipano a un solenne ma effimero congresso: profili che un giorno acquisiranno nomi e cognomi nei romanzi di Roth, comparse di unepoca che pochi come lui ci hanno saputo restituire. Tra gli «sfondi» emerge un ricordo che diviene una pagina memorabile: laddio a tutto un mondo, con il funerale di Sua Maestà Apostolica Imperial-regia Francesco Giuseppe cerimonia alla quale il giovane Roth aveva partecipato indossando la «nuova uniforme grigio-verde con la quale saremmo andati al fronte qualche settimana più tardi».
Il cinema è non solo presenza ricorrente nella narrativa di Roth, ma anche oggetto di splendidi feuilleton e recensioni – nell'insieme un centinaio di interventi, compresi per lo più fra il 1919 e l'inizio degli anni Trenta, di cui si offre qui una ampia e rappresentativa scelta. Appassionato di Buster Keaton, capace di liquidare il sentimentalismo di un'epoca intera, cultore di...
Perfetto amalgama di poesia e affabulazione, di ricordi lontani e paesi remoti, le prose del Secondo amore ci trasportano in un mondo magico, popolato di giovani violinisti capaci di far danzare le stelle in cielo, agili ballerini col monocolo, clown lillipuziani e macrocefali, zingari accampati fra il bosco e la palude in una distesa di tende bianche. Ma riaffiora, costante, la Storia, evocata da...