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Hugo von Hofmannsthal

Il libro degli amici

A cura di Gabriella Bemporad

Biblioteca Adelphi, 100
1980, 6ª ediz., pp. 124, 1 tav.
isbn: 9788845904264

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SINOSSI

Quando Hofmannsthal, nel 1922, pubblicò la prima edizione di questo libro, forse ricordava le parole con cui Goethe aveva annunciato quella sua opera che dapprima voleva intitolare Libro degli amici e poi divenne il Divano occidentale-orientale: «Il Libro degli amici contiene serene parole di amore e simpatia che in certe circostanze vengono offerte a persone amate e stimate, solitamente al modo persiano con i margini arabescati d’oro». Il primo carattere di questo libro è dunque quello del dono rivolto a persone affini, e in quanto tale viene qui presentato come numero 100 della Biblioteca Adelphi.
Ma, oltre che rivolto agli amici, questo libro è stato anche in certo modo scritto da amici. Mescolando suoi pensieri e riflessioni a quelli di autori celebri e antichi o anche assai meno noti e contemporanei, Hofmannsthal è riuscito a creare un singolare slittamento: prima ancora che se stessi, quei nomi indicano le voci che partecipano a una inesauribile conversazione. E anche dietro alla voce dell’autore sembrano celarsi quelle di molti altri, che grazie a lui parlano in incognito. Col gesto di un sovrano discreto e pressoché invisibile, Hofmannsthal si preoccupa qui di fissare uno spazio più che di riempirlo: prepara ai pensieri un paradiso, nel senso iranico di «giardino cintato». Così le riflessioni che allinea non hanno mai la solennità e l’autosufficienza delle massime, ma si intessono l’una all’altra come una molteplicità di voci che si rispondono. E il tutto assume un’autorità più inafferrabile, che accetta di abbandonarsi alla fuggevolezza della parola detta e perduta. Molti di questi frammenti sono tratti da memorie, lettere, diari – e più che a un comune modo di pensare sembrano riferirsi a una qualche esperienza di vita che i vari parlanti, il cui volto è spesso in ombra, avrebbero in comune. Non sarà Hofmannsthal, nemico dell’esplicito, a precisare che cosa tiene insieme queste voci: ma sarà ogni lettore attento ad accorgersi che lo spazio disegnato da questo libro è quello stesso di una cultura occidentale che fosse arrivata a insegnare a se stessa, in senso metafisico, le buone maniere. Delle quali sarebbe il primo precetto, in rapporto ai pensieri, quello che qui viene accennato: «La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie».

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