«Non sapevo in realtà dove stavo andando; se me lo chiedevano, dicevo in Russia». Se anche si prendono tutti, ma proprio tutti gli stereotipi sullo strano essere che Mark Twain chiamava linnocente allestero, e li si dispone a formare un personaggio immaginario, si otterrà solo una pallida approssimazione a quel prototipo del viaggiatore, e dello scrittore di viaggi, che è stato Evelyn Waugh. Che nel 1928, quando a ventisei anni parte per la sua prima, lunga crociera nel Mediterraneo, è già completamente formato, vuoi negli abiti di scena vuoi in quelli mentali, a cominciare dalla convinzione, molto fertile sul piano narrativo, che lInghilterra sia la norma, e il resto del mondo una bizzarra, affascinante e soprattutto comica eccezione. Etichette è il primo e più celebre esperimento dellautore con un genere in realtà molto arduo ed è forse il più capriccioso, attendibile e felice. E se la Napoli o il Cairo di Waugh risultano ancora oggi più veri del vero, il merito è tutto della sfacciata certezza che ispira questa non resistibile scorribanda, e cioè che i libri di viaggio, come quellautobiografia di cui costituiscono un sottoinsieme, siano tanto più efficaci quanto più si reggono «su un bel fondamento di vanteria bugiarda».
Nel 1951 il cinico, caustico, cattolico Evelyn Waugh rimette piede in Terra Santa, eterno terreno minato, e ha il coraggio di dire la sua, come solo lui sapeva fare – con devozione, curiosità e meraviglia per lo splendore dei luoghi –, su una piaga mai sanata in ogni animo, credente o non credente.
Questo libro avrebbe dovuto chiamarsi War in Abyssinia. Buon titolo: asciutto, fattuale, esotico. Dell'Abissinia nel 1934 nessuno sapeva nulla, anche se il paese era l'unico stato africano cooptato nella Lega delle Nazioni e il suo giovane despota era un pupillo dei media Uomo dell'Anno per «Time» nel 1935. Ma adesso di quell'immensa piantagione di caffè stava per impadronirsi...
Traduzione di David Mezzacapa, Luciana Pansini Verga