«Osservare freddamente Dio caldamente, lo fu già abbastanza». Per questa impresa, che è già in sé unempietà, Sgalambro si è scelto come invisibili protettori quei grandi teologi dimenticati, come Suárez o Melchor Cano, che sapevano trattare di Dio con cupa professionalità. Qui, come ancora in Spinoza e in Schopenhauer, Dio torna a essere il mondo nella sua profonda estraneità, nella sua avversione al soggetto, che attacca fino a ucciderlo, nella sua controfinalità. Mentre oggi la filosofia dei disincantati è diventata almeno altrettanto consolatoria della filosofia dei bigotti, e per essa, alla fine, tutto va bene perché tutto è ugualmente infondato, il fosco sguardo del teologo fa risorgere il mondo quale alterità nemica, quale rocciosa resistenza al pensiero, quale catena delle cause che stringe in una morsa, «come una costrizione fisica». Per praticare questo superiore «cinismo teologico» non occorre devozione, fede e sentimento, ma la capacità di guardare attraverso un vetro tentando di vedere il vetro, larte di «pensare contro se stessi», di avvolgersi nella vita della mente come nellunica vera che ci sia concessa. Si traccia così una teologia non religiosa, oggi possibile «come ieri le geometrie non euclidee». E le figure del passato si tratti di Proust o di Plotino, di Warburg o di Mauthner, di Renan o di Hegel vi appaiono impigliate in un nuovo ordine di rapporti, che è illuminante. Un pensiero di questa specie non può che essere solitario allestremo e risultare impenetrabile per chi è fedele all«oscurantismo dellilluminismo». Ma la superba asprezza di questo libro apparirà salutare a chiunque rifugga quei «tiepidi» che costituiscono gran parte della filosofia contemporanea.
«I più alti spiriti, se così vogliamo chiamarli, sono stati misantropi» osserva Sgalambro in questo suo ultimo libro. «L'Idea» infatti «è raggiungibile solo in uno stato di misantropia. Il misantropo non vede più l'uomo, la cui carne detesta, ma l'Idea dell'uomo». Scortato da questo presupposto, il filosofo prosegue qui il suo cammino solitario attraverso una filza di brevi trattati: da...
«Se è vero che le vicende della sua vita sono parte integrante dell’importanza di Socrate, si deve comunque dare tutto il rilievo possibile al fatto che egli morì assassinato» dichiara perentoriamente Manlio Sgalambro. Tuttavia Platone «omette pietosamente quella parola», e dal canto suo Nietzsche afferma – certo a ragione – che «Socrate volle morire». Ma chi desidera morire, osserva...