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Manlio Sgalambro

Trattato dell’empietà

Saggi, 38
1987, pp. 176
isbn: 9788845902536

Temporaneamente non disponibile
SINOSSI

«Osservare freddamente Dio – caldamente, lo fu già abbastanza». Per questa impresa, che è già in sé un’empietà, Sgalambro si è scelto come invisibili protettori quei grandi teologi dimenticati, come Suárez o Melchor Cano, che sapevano trattare di Dio con cupa professionalità. Qui, come ancora in Spinoza e in Schopenhauer, Dio torna a essere il mondo nella sua profonda estraneità, nella sua avversione al soggetto, che attacca fino a ucciderlo, nella sua controfinalità. Mentre oggi la filosofia dei disincantati è diventata almeno altrettanto consolatoria della filosofia dei bigotti, e per essa, alla fine, tutto va bene perché tutto è ugualmente infondato, il fosco sguardo del teologo fa risorgere il mondo quale alterità nemica, quale rocciosa resistenza al pensiero, quale catena delle cause che stringe in una morsa, «come una costrizione fisica».
Per praticare questo superiore «cinismo teologico» non occorre devozione, fede e sentimento, ma la capacità di guardare attraverso un vetro tentando di vedere il vetro, l’arte di «pensare contro se stessi», di avvolgersi nella vita della mente come nell’unica vera che ci sia concessa. Si traccia così una teologia non religiosa, oggi possibile «come ieri le geometrie non euclidee». E le figure del passato – si tratti di Proust o di Plotino, di Warburg o di Mauthner, di Renan o di Hegel – vi appaiono impigliate in un nuovo ordine di rapporti, che è illuminante. Un pensiero di questa specie non può che essere solitario all’estremo e risultare impenetrabile per chi è fedele all’«oscurantismo dell’illuminismo». Ma la superba asprezza di questo libro apparirà salutare a chiunque rifugga quei «tiepidi» che costituiscono gran parte della filosofia contemporanea.

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Della misantropia

«I più alti spiriti, se così vogliamo chiamarli, sono stati misantropi» osserva Sgalambro in questo suo ultimo libro. «L'Idea» infatti «è raggiungibile solo in uno stato di misantropia. Il misantropo non vede più l'uomo, la cui carne detesta, ma l'Idea dell'uomo». Scortato da questo presupposto, il filosofo prosegue qui il suo cammino solitario attraverso...
Piccola Biblioteca Adelphi, 631
2012 / pp. 128 / € 13,00  € 12,35
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Manlio Sgalambro

Del delitto

«Se è vero che le vicende della sua vita sono parte integrante dell’importanza di Socrate, si deve comunque dare tutto il rilievo possibile al fatto che egli morì assassinato» dichiara perentoriamente Manlio Sgalambro. Tuttavia Platone «omette pietosamente quella parola», e dal canto suo Nietzsche afferma – certo a ragione – che «Socrate volle...
Piccola Biblioteca Adelphi, 588
2009 / pp. 182 / € 13,00  € 12,35
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La conoscenza del peggio

«All’uomo non conviene considerare, riguardo a se stesso e riguardo alle altre cose, se non ciò che è l’ottimo e l’eccellente; e inevitabilmente dovrebbe conoscere anche il peggio, giacché la conoscenza del meglio e del peggio è la medesima» dice Platone in un passo del Fedone. Tuttavia, aggiunge Sgalambro, la filosofia si è invece legata strettamente...
Piccola Biblioteca Adelphi, 552
2007 / pp. 171 / € 10,00  € 9,50
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Manlio Sgalambro

De mundo pessimo

«Nello spirito vi sono ancora continenti da conquistare, scoperte e grandi viaggi» si legge in una delle pagine di questo libro, dove sono raccolti scritti che Sgalambro definisce con brillante sprezzatura «‘parerga’ che precedono, anziché seguire, un sistema ancora inesistente». E il viaggio cui ci invita – «scalando le vette della metafisica...
Piccola Biblioteca Adelphi, 513
2004 / pp. 269 / € 13,00  € 12,35
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