Risvolto
Luigi XVI e Maria Antonietta vennero arrestati a Varennes nel 1791, mentre fuggivano. Più di due secoli prima, il medico-mago Nostradamus aveva scritto, nelle sue Centurie profetiche, una quartina che corrisponde in maniera impressionante, e sino al minimo dettaglio, a ciò che avvenne alla coppia regale. Molti hanno notato, a partire dallinizio dellOttocento, questa concordanza inspiegata. Ma solo un grande studioso come Georges Dumézil, che ha passato la sua vita in mezzo alle lingue e alle civiltà più remote, poteva avere lidea mirabile di affrontare questo enigma nella cornice di una sorta di romanzo poliziesco, dove il Dupin o lo Sherlock Holmes è evidentemente Dumézil stesso. Il risultato è questo libro (1984), sorprendente per labilità nellanalizzare una questione insolubile come per la maestria con cui questa ricerca rigorosa viene ironicamente trasposta in forma romanzesca.
Lorientalista Espopondie, trasparente alter ego di Dumézil nellindagine, non vuole altro che far funzionare la ragione sino alle estreme conseguenze. Così non condivide latteggiamento di coloro che, «col pretesto di proteggersi dallirrazionale, rifiutano di registrare quelle osservazioni che lo stato delle nostre conoscenze non consente di interpretare». Al giovane amico che lo assiste nella ricerca consiglia di leggere Nostradamus come fosse Virgilio, ricostruendo il suo lessico e spiegandolo attraverso il suo stesso linguaggio. Allora la quartina di Nostradamus, come un fiore giapponese nellacqua, si espande in unimmagine compiuta, allucinatoria, e da ogni parola affiora un dettaglio di quella notte fatale della nostra storia, «come se qualcosa o qualcuno parlasse dentro di lui [Nostradamus], rivolgendosi a ciò che nel nostro cervello è predisposto e organizzato per accogliere suoni articolati e riconoscerne il senso».
In unintervista di pochi mesi precedente alla sua morte, Dumézil affermava che aveva scritto questo libro «per divertirsi». Ma i giochi di un sapiente sono quanto di più serio. E Dumézil stesso lo ha lasciato intendere nella seconda parte di questo libro, che è una illuminante riflessione su un altro enigma: il significato delle ultime parole di Socrate, «Siamo debitori di un gallo ad Asclepio». Secondo Dumézil, quelle parole erano la risposta del filosofo a un sogno. Con esse, Socrate mostrava di aver capito che la sua partita era già «stata giocata, nellinvisibile che comunica col nostro mondo solo attraverso oracoli, segni, sogni premonitori».