Oelze era un industriale di Brema, molto colto e molto devoto a Benn, che non aveva però occasione di incontrare. Benn lo scelse, in anni dolorosi e difficili, fra il 1932 e il 1956, come cassetta di sicurezza dei suoi pensieri, dei suoi umori e delle sue emozioni più nascoste. Le lettere che gli scriveva diventarono così una sorta di ininterrotto, rovente monologo, dove Benn sperimentava con la prosa, con i versi e con le immagini quello che andava cristallizzandosi nelle pagine memorabili di Osteria Wolf, Il romanzo del fenotipo, Il tolemaico. Ma qui tutto si mostra allo stato nascente, avvolto nei fumi dellestro, dellimprovvisazione, della furia. Insieme magmatiche e acuminate, queste lettere trascinano nel loro flusso schegge preziose, che compongono senza volerlo unopera rimasta ineguagliata nella letteratura tedesca del Novecento.
Nel 1952 le colonne della «Neue Zeitung» ospitarono un memorabile dialogo-confronto, attraverso due lettere aperte, tra Lernet-Holenia e Gottfried Benn. Il tema non avrebbe potuto essere più arduo – la natura dell'arte –, e le posizioni più distanti: a Lernet-Holenia che lo esortava a rivolgersi «agli altri, in quei grandi dialoghi sui quali si fonda ogni vera...
Benn si improvvisa cronista di una stagione letteraria, trafigge le banalità imperanti e rivendica l'essenza della letteratura, che è per lui la letteratura assoluta, come anche appare nell'alto pathos del discorso in memoria dell'amico Klabund. Due testi a cavallo degli anni Venti, dove sembra che l'inchiostro non si sia ancora asciugato.