Oelze era un industriale di Brema, molto colto e molto devoto a Benn, che non aveva però occasione di incontrare. Benn lo scelse, in anni dolorosi e difficili, fra il 1932 e il 1956, come cassetta di sicurezza dei suoi pensieri, dei suoi umori e delle sue emozioni più nascoste. Le lettere che gli scriveva diventarono così una sorta di ininterrotto, rovente monologo, dove Benn sperimentava con la prosa, con i versi e con le immagini quello che andava cristallizzandosi nelle pagine memorabili di Osteria Wolf, Il romanzo del fenotipo, Il tolemaico. Ma qui tutto si mostra allo stato nascente, avvolto nei fumi dellestro, dellimprovvisazione, della furia. Insieme magmatiche e acuminate, queste lettere trascinano nel loro flusso schegge preziose, che compongono senza volerlo unopera rimasta ineguagliata nella letteratura tedesca del Novecento.
Da Gottfried Benn, che ha sempre scompaginato tutte le categorie, e che ha bollato l’Io come «stato d’animo tardivo della natura, e oltre tutto fugace», non ci si poteva certo aspettare una compita autobiografia che raccontasse gli eventi di un’esistenza. Il paesaggio biografico di Benn è quello del suo alter ego Rönne, «il medico, il flagellante delle...
A cura di Amelia Valtolina
Con un saggio di Roberto Calasso
«Stile tardo», «ultimo stile», sono formule correnti con cui si usa riferirsi alle opere della vecchiaia di uno scrittore, o più in generale di un artista. Ma quando comincia davvero questa fase? Esistono criteri per definirla? Le «sere della vita» sembrano ritrarsi e ingannare lo sguardo di chi vuole importunarle. Per Benn sono solo un’occasione per divagazioni...