Lautonecrologia, osserva Lodovico Terzi, «è trasgressiva, narcisistica, creativa, e presuppone due qualità squisitamente letterarie: il gusto del paradosso (come autore dellannuncio funebre il morto ruba la parte al vivo) e un incoercibile protagonismo (nemmeno da morto il morto è disposto a cedere la parola)». Jonathan Swift, a cui non fanno difetto né luno né laltro, va ben oltre e nel 1731 si diverte (con il suo solito spirito feroce) a mettere in scena la propria morte e tutte le reazioni che susciterà, negli estimatori come nei detrattori: dallinsofferenza dei congiunti per leccessivo prolungarsi dellagonia, al compiacimento di chi al confronto con il moribondo si sente vivo e sano, allo sgomento di chi nella sua imminente dipartita vede profilar- si la propria, fino al «compianto» (si fa per dire) della regina in persona, che nel ricevere la notizia esclama: «Davvero se nè andato? Era ora! / È morto, dici? Be, marcisca pure». La beffarda vena filosofica e morale che intride questo testo ha ispirato il traduttore a riprendere i vari temi toccati da Swift lamore e il potere, lamicizia e lambizione personale, lo slancio morale e i meandri dellipocrisia e a intercalare alla lettura dei versi (in quelle «pause naturali» che la lettura stessa sottintende) una serie di riflessioni, o digressioni. Ne risulta un piccolo libro originale, bizzarro e intrigante una sorta di dialogo fra il grande scrittore satirico del Settecento e il suo estroso interprete moderno.