Destino della necessità, lopera di Severino su cui tutte le altre paiono convergere, si chiudeva con la promessa di una seconda parte che avrebbe fornito la «risoluzione», cioè la risposta alle domande più gravi e più sorprendenti lì evocate. Ora, a distanza di ventun anni, quella promessa viene mantenuta e lesito è non meno audace che folgorante. Nei libri di Severino la pars destruens sulle tesi fondamentali del pensiero occidentale è sempre basata sulla pars construens, che mostra come si configura e che cosa implica un pensiero non fondato sul presupposto che gli essenti sorgano dal nulla e al nulla ritornino. Ma nella Gloria la dimensione costruttiva si spinge sino ai più lontani confini: alla Gioia, termine già presente in Destino della necessità e inusuale nel discorso filosofico, si appaia la Gloria, termine che ha un lungo passato, ma teologico più che filosofico. E di conseguenza luomo stesso ovvero il soggetto che legge scoprirà di essere, da sempre, qualcosa di radicalmente diverso da ciò che suppone di essere. Che è appunto la più alta ambizione del pensiero in genere.
Sin dal suo inizio storico la filosofia è stata la volontà di incarnare il sapere assolutamente innegabile. Ma come è possibile «la stabile conoscenza della verità», si chiede Emanuele Severino, «in un clima come quello del nostro tempo, dove non solo la scienza, ma la filosofia stessa ha quasi ovunque voltato le spalle a ciò che essa ritiene il “sogno” di un sapere siffatto?».
Gli scritti di Severino indicano un senso della «storia» profondamente diverso da quello presente nelle varie forme di cultura: nel suo significato più radicale la storia è l'infinito e sempre più ampio apparire degli eterni in ognuno dei «cerchi dell'apparire del destino della verità».