SINOSSI

A detta dell’amico Puškin, il principe Pëtr Vjazem­skij era una «svista» della Natura, che lo aveva scel­to per far bella mostra di tutti i suoi doni, ma ecce­dendo, giacché aveva combinato nel suo beniami­no «ricchezza, nobiltà, mente eletta, animo gentile e caustico sorriso». Poco conosciuto fuori della Russia, salvo rare eccezioni ricordato soltanto co­me poeta della «pleiade puškiniana», Vjazemskij fu anche critico, romanziere, memorialista. Di un'in­telligenza acuta, talvolta spietata, era un conversa­tore e narratore ineguagliabile, tanto da provocare autentiche «migrazioni salottiere» nelle case che frequentava: non appena cominciava a racconta­re le sue storie, tutti si affrettavano a raggiunger­lo. Storie che in gran parte figurano nei taccuini che tenne per più di sessant’anni, folti di aneddoti, riflessioni, brevi ritratti, stravaganze di personaggi illustri, battute e bizzarrie di chi viveva o era vissuto nella città che Vjazemskij più amava, Mosca, una ve­ra e propria «repubblica» rispetto alla rigida e for­male San Pietroburgo, dove la presenza della corte sembrava condizionare anche i più segreti pensieri dei sudditi. «Briciole della vita», dunque, ma capa­ci più dei grandi eventi di dar voce al passato prossi­mo ancora vivo, non imbalsamato in trattati e libri di storia. E dopo aver letto queste pagine deliziose, non potremo che concordare con Iosif Brodskij: «In Vjazemskij i russi hanno il loro Chamfort e il loro La Rochefoucauld in un'unica persona».

A cura di Serena Vitale.

«Un virtuoso della parola, finissimo prosatore, eccellente memorialista» (Vladimir Nabokov).

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