IN COPERTINA
Rappresentazione di una renna femmina e di un arciere. Incisione del VII-IX secolo. Valle dello Jenissei.
SINOSSI

La caccia, in Siberia, è una questione di vita o di morte, uno scontro inesorabile tra l'uomo e le potenze invisibili che dominano le immense distese ghiacciate, le foreste, i monti, i laghi, e a cui appartengono gli animali. In un mondo dove tutto è pieno di dèi, popolato da spiriti di ogni sorta con le loro gerarchie e antipatie reciproche, il cacciatore che si addentra nella foresta o s'avventura per mare «deve trovarsi in uno stato di grazia, come il sacerdote che si accosta al sacrificio». Si muove dunque con circospezione, protetto solo dalla magia, mediante la quale stipula un patto con l'«altro lato», perché «il diritto di uccidere si paga, come un permesso di caccia rilasciato da potenze superiori», e in cambio dei sacrifici le divinità concederanno selvaggina in abbondanza. L'esito dell'impresa, pertanto, non dipende solo dall'abilità dei cacciatori, ma dallo scrupolo con cui si atterranno alle innumerevoli prescrizioni e interdizioni rituali che accompagnano dal principio alla fine la battuta di caccia. Dovranno, soprattutto, conciliarsi la preda – far sì che acconsenta alla propria uccisione – e placarne l'anima dopo la morte, affinché non torni a perseguitarli. Con questo saggio magistrale – dove lo stile elegante e sobrio cela rigore metodologico e immensa erudizione – Éveline Lot-Falck, uno dei più grandi studiosi dello sciamanismo siberiano, riesce a restituirci «nella sua atmosfera, nella sua profusione, nelle sue variazioni, un fenomeno a un tempo poetico, magico e religioso» (Claudio Rugafiori).

«Il primitivo non ha coscienza di se stesso come entità distinta, non si vede separato da ciò che lo circonda; tutto, in natura, è per lui vivo e può apparire sotto qualsiasi aspetto».