SINOSSI

«Il 25 aprile 1898 il signor Samuel Porter, riconosciuto colpevole del reato di appropriazione indebita, da lui perpetrato nella sua qualità di contabile di banca, veniva condannato ad anni cinque di reclusione, da scontarsi nel penitenziario di Columbus, Ohio. In quel luogo inamabile Samuel Porter doveva trascorrere poco più di tre anni: e lì appunto gli accadde di trovare compagnia congeniale, agio per coltivare una vocazione fino allora trascurata, e uno pseudonimo: O. Henry. Il signor Porter era probabilmente innocente, ma O. Henry, no; vi era in lui una spiccata inclinazione per la estrosità umorale del piccolo lestofante; e la prigione, premiando e consacrando questa sua profonda vocazione, fece di lui uno scrittore. O. Henry non è, infatti, scrittore problematico né inquietante: è un chiacchieratore senza uguali, un attaccabottoni apollineo e, inoltre, un perfetto gentiluomo. I suoi racconti presuppongono un lettore incline all’ozio, all’agio, alla virtuosa distensione; non vogliono farlo né moralmente migliore, né intellettualmente più impegnato, né più pronto a rispondere all’aspra provocazione dell’esperienza. Anzi, lo invitano ai civili svaghi di una conversazione lievemente irresponsabile. O. Henry, infatti, è in primo luogo uno scrittore divertente; cattivante in modo irresistibile per chi abbia il gusto della ciarla erratica e svagata, delle favole oziose e improbabili, e nelle fantasie assurde, nelle imprese provocatorie del contafavole sappia gustare il gesto dell’iperbole, della metafora, e la libertà della pura e semplice menzogna. O. Henry è l’uomo delle vacanze; un entertainer, un nobilissimo corruttore» (Giorgio Manganelli).