Nel presentare il primo volume dei Romanzi comprendente Poveri e semplici, Il cappello piumato e Il porto di Toledo, e dunque il ciclo autobiografico osservavamo che la statura di narratrice della Ortese quale si era venuta affermando fra gli anni Ottanta e Novanta era tale da imporre una rilettura fondata su cure critiche e filologiche degne di una fisionomia deccezione, estranea allordine esistente ma di assoluto rilievo sul piano europeo. E al compito di andare oltre la mera compilazione di testi non si sottrae il secondo volume, dedicato a quella trilogia fantastica (LIguana, Il cardillo addolorato, Alonso e i visionari) che fonda il più enigmatico bestiario del Novecento dalla «bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dallapparente aspetto di una lucertola gigante, ma vestita da donna» sino al piccolo puma dellArizona oggetto di un odio irragionevole o di un amore inerme e insieme delinea una dottrina, unetica (o forse una mistica) dove il male è il «dolore recato allaltro» e lamore, suo antidoto, «solidarietà cieca». Le accurate Note ai testi, infatti, nel ricostruire liter di formazione dei romanzi, aprono prospettive insospettate: come il «secondo finale» dellIguana, romanzo apparso per la prima volta sul «Mondo» nel 1965 e infine da Adelphi nel 1986, ma che, con la sua incompiuta metamorfosi, ha sempre ossessionato la scrittrice, inducendola a infiniti rifacimenti. O come il segreto e seducente Mistero doloroso, incunabolo del Cardillo: storia «un po magica di Napoli già toccata dai Francesi, ma ancora borbonica», e della estatica adorazione di Florì strana adolescente dalla «bianchezza stellare» e dai «puri occhi grigi» per il triste e severo principe Cirillo di Borbone, che la considera solo «un uccello o un fiore intravisto in un negozio, o disegnato sul parato della sua camera sontuosa».
Più volte nei suoi interventi pubblici Anna Maria Ortese ha denunciato i delitti dell'uomo «contro la Terra», la sua «cultura d'arroganza», la sua attitudine di padrone e torturatore «di ogni anima della Vita». E lo ha fatto pur nella consapevolezza che il suo grido d'allarme sarebbe stato accolto con impaziente condiscendenza da chi sembra ignorare che ciò...
Hemingway era «un pezzo di cielo, e una fitta di sole» scriveva Anna Maria Ortese nel luglio del 1961 commentando l’improvvisa scomparsa di colui che le sembrava appartenere ad anni «non ancora macchiati da carneficine o tumefatti in ghiacci spaventosi» e a una generazione di padri-leoni dalla «santità animale», estranei a una intelligenza «che oggi ha scarnificato l’uomo»: con le sue...