New York, notte. Un uomo e una donna camminano lungo la Quinta Strada. Entrano in un bar. Ne escono. Un altro bar. E riprendono a camminare, instancabili, come se non potessero fare altro che camminare: «come se avessero sempre camminato così, per le strade di New York, alle cinque del mattino». Come se la notte non dovesse mai finire. Lui non sa niente di lei, lei non sa niente di lui. Lei traballa un po sui tacchi troppo alti, e ha una voce roca, una voce che fa pensare a una pena oscura; su una delle sue calze chiare spicca una smagliatura sottile come una cicatrice. Non è né giovanissima né prepotentemente bella; sul suo viso, i segni di una stanchezza, di una ferita remota: ma è proprio questo a renderla seducente. Si sono incontrati solo poche ore prima, in una caffetteria nei pressi di Washington Square, come due naufraghi, e ora «sono così tenacemente avvinti luno allaltro che la sola idea della separazione risulta loro intollerabile». Ma come si può rimanere in quel territorio privilegiato, fuori del tempo e dello spazio, che è lamour fou? Con Tre camere a Manhattan (di cui disse: «È uno dei pochissimi romanzi che abbia scritto a caldo e questo mi faceva paura») Simenon si impone come un grande romanziere della passione. Tre camere a Manhattan fu scritto negli Stati Uniti nel 1946.
Un uomo appagato, il professor Jean Chabot: ginecologo di fama, comproprietario di una clinica e responsabile della Maternità di Port-Royal, un appartamento di dodici stanze al Bois de Boulogne, una moglie, tre figli e una segretaria amante che si è assunta il compito di «evitargli ogni minima seccatura». Tra le seccature da cui lo ha sbarazzato...
È lo stesso commissario Maigret, nelle sue Memorie, a raccontare (in una esilarante mise en abyme) come gli era capitato di far visitare i locali della Polizia giudiziaria a uno scrittorello dotato di «giovanile sfrontatezza», tale Georges Sim. Nella realtà fu Xavier Guichard, che ne era il direttore, a proporre, all’inizio degli anni Trenta, a un Simenon che...
Traduzione di Lorenza di Lella e Maria Laura Vanorio.
Con una Nota di Ena Marchi.