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Aldo Busi

Seminario sulla gioventù

Narrativa contemporanea
1984, pp. 353
isbn: id-1578

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IN COPERTINA
Félix Vallotton, Le Bain au Soir d’Été, 1892-1893 (Kunsthaus, Zürich).
SINOSSI

A un certo punto delle sue avventure, il protagonista di questo romanzo si trova a fare il barista a Milano, vicino a via Montenapoleone. Porta caffè e aperitivi a parrucchieri, boutique e uffici e, fra gli abitanti del quartiere, incontra Eugenio Montale. Il poeta lo prende in simpatia e si fa accompagnare dal giovane barista in certe sue rare e malferme sortite. Un giorno, gli mette in mano il Felix Krull di Thomas Mann, perché pensa che il giovane ritroverà qualcosa di sé in quell’archetipo del cavaliere d’industria. E così è di fatto.
In questo primo romanzo di Aldo Busi sentiamo subito circolare un’aria davvero inconsueta nella letteratura italiana moderna (e pre-moderna): l’aria di una vita brada, che guata le occasioni dietro ogni angolo, spregiudicata e curiosa, fondata su una perfetta disponibilità a passare dalla panchina del barbone ai lussi del vizioso. Questo libro è una sequenza folta di avventure, incontri, fagocitazioni, seduzioni e fughe: ma è anche la storia di una autoeducazione selvaggia, che ci conduce da una cruda infanzia nelle campagne del bresciano alle «luci» di Parigi (che saranno in questo caso, alla lettera, quelle delle Folies-Bergère e dei classici francesi letti ai corsi dell’Alliance Française), sino a un’ultima partenza, perché la vocazione del protagonista è quella di evadere da ogni esperienza che tenda a chiudersi su se stessa. E ogni volta, prima di fuggire via, il narratore, che è generoso oltre che avido, ci lascia in dono un personaggio, o un gruppo di personaggi: alla fine ne siamo circondati, e alcuni sono così inquietanti nella loro vivezza che ci sembra di averli appena salutati alla stazione.
Qualcosa di doloroso e angosciante avvolge ciascuna di queste storie, ed è quella dolorosità peculiare della gioventù, del primo urto di una pelle impreparata, che qui si scopre in tutta la sua irreale acutezza, perché «le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato». Di quei dolori giovanili il narratore diventa davvero maestro, anzi tale è la sua capacità di distacco che su di essi può addirittura offrirci, in forma di romanzo, un «seminario». Suo oggetto non sarà qualcosa che abbia la pretesa di rappresentare la greve invadenza del reale, ma un’essenza più volatile, tessuta di pura letteratura: «E così, che resta di tutto il dolore che ho creduto di soffrire? Niente, soltanto delle reminiscenze contraffatte, delle fiabe apocrife». Quelle «fiabe» sono questo romanzo.

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