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David Thomson

La formula perfetta

Una storia di Hollywood

Traduzione di Gilberto Tofano

L'oceano delle storie, 29
2022, pp. 605, 24 fotografie b/n
isbn: 9788845937415

€ 34,00  (-5%)  € 32,30
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IN COPERTINA
Locandina del film Chinatown; elabo­razione grafica di Jim Pearsall.
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SINOSSI

David Thomson, «il più grande critico ci­nematografico vivente» per John Banville, ha qui tentato una storia di Hollywood -- la sua -- e lo ha fatto col piglio caustico e ma­landrino che contraddistingue chi da sem­pre ama quel mondo e ciò che ha da offrire: sogni surrettiziamente innervati dalla realtà. Thomson prende spunto da un ca­polavoro, Chinatown, il mitico film di Ro­man Polanski del 1974, il che gli permette di ripartire da molto lontano, dalla cresci­ta indiscriminata, corrotta e manovrata di Los Angeles, e di puntare la sua personale macchina da presa sulle speculazioni frau­dolente intorno alla gestione dell’acqua e della viabilità, elementi che, sottotraccia, contribuirono notevolmente alla nascita e allo sviluppo di Hollywood. Ricostrui­sce poi la storia di quegli anni, dalle prime salette improvvisate ai grandi cinema, al­la creazione degli Studios, affrontando il passaggio dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore e alle ulteriori innovazio­ni tecniche. Ma soprattutto racconta le sto­rie, sempre curiose, spesso sordide, comun­que illuminanti, dei grandi che hanno fat­to grande il cinema: registi come Griffith, Welles o Hitchcock, divi come Greta Gar­bo o Marlene Dietrich, Humphrey Bogart o Jack Nicholson, e insieme produttori co­me Jack Warner, Louis Mayer o Samuel Goldwyn, nonché altre figure meno note ma non meno influenti. Thomson vuole darci «la formula perfetta», espressione che riprende dall’ultimo romanzo incom­piuto di Fitzgerald, ambientato nella Mec­ca del cinema: l’equazione che sola può of­frire una visione d’insieme di quel mondo, quell’arte, quel mestiere, quell’industria, quel gioco d’azzardo, in tutta la sua varie­tà, follia e grandezza.

«Libro imperdibile per chi ama il cinema ed è affascinato dal meccanismo non così romantico dietro i lustrini». («The New York Post»)