Linconfondibile impasto di mistero e quotidianità e la trasparenza della parola che li dice hanno subito fatto riconoscere in Charles Simic uno dei maggiori poeti contemporanei. E in questo libro, che accompagna la sua ultima raccolta, Il mio inudibile entourage, con una scelta dalla produzione precedente, il suo universo fisico e mentale si mostra con una vividezza abbagliante. Un universo di interni desolati e di periferie hopperiane abitate da gente anonima, dove gli oggetti sembrano giacere spaesati dopo aver perduto ogni funzione. UnAmerica di luoghi e immagini di memorabile intensità cinematografi abbandonati, bische clandestine, biblioteche di quartiere, tavole calde aperte tutta la notte, giardini deserti, polvere, specchi, strade senza fine, cieli di un azzurro perenne , dove si affacciano ombre e presenze indecifrabili, sospetto di metafisica subito soffocato dallo scetticismo e dallironia. Sono i poco minacciosi fantasmi di chi non cè più o di noi stessi dopo la fine , gli angeli non custodi della nostra solitudine, ossessioni e paure discrete, più amichevoli che angoscianti, e quasi protettive nella loro perseveranza.
È «come un tavolo sul quale disponiamo oggetti interessanti trovati durante una passeggiata: un ciottolo, un chiodo arrugginito, una radice dalla forma strana, l’angolo strappato di una fotografia»: così Simic spiega, nel saggio Note su poesia e filosofia, da dove scaturisca la sua poesia, prima che il tempo e la riflessione intervengano a illuminare associazioni e significati.
Che cosa mette un poeta nei suoi taccuini? Se quel poeta è Charles Simic, il lettore immagina già la risposta: scene e frammenti che transitano fra realtà e sogno, oggetti enigmatici (orologi, specchi), ricordi del presente e premonizioni del passato, appunti di uno sguardo suo malgrado insonne. Ma queste schegge raccolte nell'officina poetica offrono qualcosa di più...