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Martin Davis

Il calcolatore universale

Da Leibniz a Turing

Traduzione di Gianni Rigamonti

Biblioteca Scientifica, 35
2003, pp. 321
isbn: 9788845917929

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SINOSSI

Tra gli innumerevoli fili di Arianna che si possono seguire per interpretare lo sviluppo del moderno, il libro di Martin Davis seleziona quell’entità al tempo stesso astrusa e comunissima che è il calcolo o computazione. Astrusa perché la teoria della calcolabilità – in bilico tra matematica, ingegneria elettronica e filosofia – è lungi dall’essere un soggetto facile o anche semplicemente acclarato. Comunissima perché chiunque possegga o usi un PC ha tra le mani, spesso senza neanche sospettarlo, un «calcolatore universale» – l’epitome stessa della nozione di computazione. Nel ricostruire la genesi di questa idea, l’autore – un pioniere della moderna informatica, ma anche uno straordinario narratore di episodi della storia della scienza – prende le mosse da Leibniz e compone, con affetto e rispetto, una galleria di personaggi chiave che comprende Boole, Frege, Cantor, Hilbert, Gödel e culmina in Turing. È interessante osservare, su un piano più tecnico, come Davis, pur pagando un doveroso tributo a Kurt Gödel, ponga, in maniera stimolante, la macchina universale di Turing alla base dei fenomeni di indecidibilità. Dopo la scoperta di Turing, il «sogno di Leibniz» – l’invenzione di un calcolo simbolico, una sorta di algebra del pensiero, con cui risolvere automaticamente ogni genere di problemi – si materializza non più in calcolatori in carne e ossa, ma in valvole e fili e poi in rame e silicio. Nel penultimo capitolo, Davis intreccia con chiarezza il bandolo matematico-fondazionale e quello ingegneristico, che sono alla base della tecnologia che ci darà il PC. Il sogno di Leibniz si realizza dunque completamente con i moderni elaboratori elettronici? Sì e no. Sì perché tutti o quasi gli aspetti della mente razionale sono oggi riproducibili fuori della mente umana da qualche programma che altro non è se non una specializzazione del calcolatore universale. No perché gli aspetti che oggi sappiamo essere i più caratterizzanti della mente umana – senso comune, emozioni e coscienza, e non la ragione – esorbitano ancora dalla visione di Leibniz, come limpidamente dimostra Davis nell’ultimo capitolo.