SINOSSI

Unico detentore del linguaggio e del pensiero astratto, l'uomo crede di poter estendere questa unicità anche al suo assetto biomeccanico e alle sue facoltà sensoriali. In realtà, come dimostrano Mark Denny e Alan McFadzean in modo non di rado sconcertante, una così tenace prospettiva antropocentrica ha fondamenta fragili e illusorie. Il nostro scheletro non è adatto alla locomozione quanto quello di molti quadrupedi. E ognuno dei nostri sensi, per quanto efficiente, mostra nel confronto con altre specie carenze sia strutturali che funzionali: l'occhio ha un'acutezza quattro volte inferiore a quella di un falco pellegrino; e lo stesso vale per olfatto, udito e gusto, dove veniamo surclassati, nell'ordine, da talpe, gufi e panda minori. Persino le nostre più elaborate protesi tecnologiche, come quelle concepite per il volo, sembrano solo pallide imitazioni di congegni ingegneristici e cognitivi preesistenti: basti pensare all'ossatura robusta e leggera degli pteranodonti, capolavori di aerodinamica di ottanta milioni di anni fa; al «veleggiamento dinamico» degli albatri, che permette di coprire lunghissime distanze con un minimo dispendio di energia; o all'orientamento nei colombi, «piattaforme volanti di rilevazione a distanza» dotate di strumentazione per la navigazione celeste, ricevitori acustici a banda larga, sensori di campo magnetico. Percorrendo questa impressionante varietà di soluzioni adattative, Denny e McFadzean risalgono all'incidenza delle leggi fisiche e matematiche e dei vincoli chimici sul processo evolutivo – dalla gravitazione alla luce, dalle leggi allometriche ai processi di auto-organizzazione della materia. E soprattutto chiariscono come ogni specie porti con sé una rappresentazione del mondo esterno irriducibile alle altre, formando una fantasmagoria di letture tra loro fittamente intrecciate.

Un viaggio alla scoperta delle più sofisticate strutture ‘ingegneristiche’ della vita animale.